lunedì 11 dicembre 2006

Bibliografia di riferimento

  • Goffman E. (1969), Modelli di interazione, traduzione italiana Il Mulino, 1971.
  • Kerbrat-Orecchioni, C. (1986) L’implicite, Armand Colin, Paris.
  • Kerbrat-Orecchioni, C., Les interactions verbales, Paris : A. Colin. T. 1, 1990 ; t. 2, 1992 ; t. 3, 1994.
  • Brown, P. & Levinson, S. (1987) Politeness : Some Universals in Language Usage, Cambridge University Press.

giovedì 7 dicembre 2006

Che conseguenze hanno sulle immagini di sé il Web e la comunicazione virtuale?

Il cyberspazio offre una nicchia per ciascuna delle molte sfaccettature che ogni soggetto incarna. Nel cyberspazio, dissociare o dividere in compartimenti le caratteristiche della propria personalità può rivelarsi un utile modo per controllare la molteplicità del sé.

Online esiste l'opportunità di focalizzarsi su particolari aspetti della propria identità e svilupparli. É inoltre possibile, alle persone, esplorare ed esprimere altri versanti della propria personalità e del proprio sé che non riescono a manifestarsi nelle interazioni face to face.

Vi possono essere, inoltre, finzioni vere e proprie, come accade nel caso in cui una persona modifica, online, il proprio genere (gender-swapping o gender switching), la propria età, la propria razza di appartenenza oppure il proprio status sociale. Le possibilità offerte dalla rete sono infinite e decisamente allettanti. Sperimentare un'identità alternativa, impossibile da simulare nella "vita reale", può dunque rappresentare un'attrattiva irresistibile. In altri casi, invece, si opera una sottile manipolazione delle proprie caratteristiche, simili agli "aggiustamenti" e agli "adattamenti" che si compiono durante la presentazione di se stessi in molte situazioni face to face.

Per esempio,l'autore di una pagina Web opera una scelta del contenuto da pubblicare in base all'immagine di sé che vuole offrire agli altri; nell'effettuare tale scelta tenta di rispondere a domande del tipo "Chi sono io?" o "Chi vorrei sembrare?".

Il contenuto "tipico" di una homepage è composto da una serie di elementi
convenzionali e paradigmatici, quali dettagli autobiografici, interessi, gusti,
pensieri e riflessioni personali. Talvolta i soggetti mettono sulla loro homepage canzoni, poesie, racconti o quadri realizzati da loro, riferimenti a familiari, amici e conoscenti (con l'aggiunta di foto, o di link ad altre pagine Web), o a particolari gruppi di appartenenza (squadre sportive, associazioni culturali, gruppi musicali, e così via). La scelta e la combinazione di tutti questi elementi rivelano i gusti e il livello socioculturale dell'autore della pagina, e costituiscono risorse importanti nella formazione delle impressioni dei visitatori.

Comunque sia, Internet permette una gestione più accurata e più attenta della propria immagine, non solo permettendo ai soggetti di operare una scelta delle caratteristiche di sé che desiderano presentare o tralasciare, ma anche offrendo l'opportunità di sperimentare una nuova forma di soggettività e di dare forma "concreta" al proprio sé ideale.

Cosa avviene di questo gioco di facce nella comunicazione elettronica?

La comunicazione elettronica dà modo di poter progettare e selezionare accuratamente l'immagine che si desidera dare di se stessi, poiché permette di mostrare o nascondere le caratteristiche che si ritengono più o meno socialmente opportune. Questa possibilità dipende sia dal maggior tempo che si ha a disposizione, sia dal maggior controllo, derivante dalla modalità di comunicazione testuale. Inoltre, si può scegliere il momento e la situazione più opportuna per interagire con l'altro e il feedback che si riceve nella comunicazione elettronica è più mediato rispetto all'interazione face to face, quindi è più facile che le aspettative e le impressioni iniziali che un soggetto si è formato riguardo l'interlocutore siano rafforzate nel tempo piuttosto che disattese. Tale fenomeno è definito da Walther "behavioral confirmation".

Quali sono le tecniche che ognuno ha a disposizione per “salvare la faccia”?

Goffman cita:

  • il processo di elusione che consiste nell’evitare le situazioni che presentano un potenziale pericolo per la faccia. Questo processo può essere attuato in vari modi, come ad esempio l’adottare un tono scherzoso, il cambiare argomento (come azioni difensive) oppure il far finta di non notare una situazione imbarazzante per l’interlocutore (come azione protettiva)
  • il processo correttivo che consiste per esempio nel cercare di dimostrare che la situazione di “offesa” non ha di fatto avuto gli effetti negativi che si potevano temere, oppure che questa situazione non era voluta o che l’atto aveva un’intenzione scherzosa. Sono strategie di “ridefinizione dell’atto offensivo” (Goffman, ibidem, p. 24).
Nelle e-mail, però, questo processo correttivo non può avvenire in tempo reale: questo può innescare situazioni equivoche ed incomprensioni non immediatamente sanabili. Se viene a mancare il processo correttivo, vi può essere una situazione di interruzione dell’interazione, che ha per effetto quello di negare all’offensore lo status di interlocutore.

Tutte queste strategie, ed in particolare i processo di elusione, trovano più facile applicazione nella comunicazione a distanza in quanto essa consente un maggiore controllo sulla situazione. Si ha il tempo di elaborare una risposta adeguata per “salvare la faccia”, eliminando il rischio dell’impulsività”. Questo avviene in misura attenuata nella chat poiché questa nuova modalità di comunicazione prevede un “botta e risposta”.

A queste tecniche “primarie” si aggiungono strategie molto più complesse e sottili, come la collaborazione, che consiste nel prevenire possibili “gaffe” dell’interlocutore anticipandola, in modo da evitare per sé una situazione di offesa, e per l’altro una situazione d’imbarazzo in cui perderebbe la faccia. L’uso di figure retoriche, tono scherzoso, auto-ironia sono esempi di strategie elaborate che rientrano nel meccanismo del gioco di faccia.
Questa “collaborazione” caratterizza le comunicazione face to face. La comunicazione elettronica, invece, è caratterizzata da una cooperazione debole, mentre una conversazione face to face "si svolge in una situazione cooperativa costantemente controllata da una serie di successivi adattamenti e di correzioni reciproche"
Si veda Galimberti, Riva, La comunicazione virtuale, Guerini, Milano, 1997.

Le “convenzioni” regolano davvero tutte le interazioni?

Il mutuo rispetto dell’interlocutore, che corrisponde all’accettazione – almeno pro forma –
della “faccia” che l’altro propone di sé, è la regola che permette il buon funzionamento dell’interazione. Questo meccanismo è il “gioco di faccia” descritto da Goffman, ed è una pratica abituale, che tutti applicano anche se inconsciamente. Il gioco di faccia è un repertorio caratteristico di una persona, di una cultura.
Con questo si intende che le “convenzioni” cambiano a seconda della cultura in cui uno si trova?
Sì. Infatti, Goffman cita l’esempio della cultura cinese, nella quale “ un semplice “no” è considerato il massimo della scortesia. Un rifiuto di qualsiasi tipo deve essere attenuato da un’espressione di costernata incapacità. (…) Secoli di esperienza in questa forma sottile di reticenza hanno reso i Cinesi insuperabili nell’inventare ogni sorta di scuse.”
Si veda Chelster Holcombe, The Real Chinaman, New York, Dodd, Mead, 1895, citato da Goffman, ibidem, p. 32.

In questo senso il “gioco di faccia” può essere visto come un giogo, poiché è costituito da regole molto forti dalle quali non si può uscire. Ognuno di noi è quindi portato a prendere sempre in considerazione le conseguenze dei suoi atti sulla sua “faccia”.

Come si manifesta il gioco di faccia nel comportamento degli interlocutori?

Saper preservare la “faccia”, propria e dell’interlocutore, equivale in sostanza a ciò che nel linguaggio comune chiamiamo essere “educati”. Viene tradotto in parte attraverso l’uso di convenzioni sociali, che comprendono aspetti verbali e comportamentali.
Come evidenziato da Brown e Levinson, che hanno sviluppato la teoria delle facce di Goffman, “l’educazione” e le convenzioni permettono di conciliare la necessità di preservare le facce con il fatto che la maggior parte degli atti linguistici costituiscono potenziali minacce. Queste convenzioni sociali si possono suddividere in due categorie:


  • quelle che consentono di attenuare una possibile “minaccia” (Face Threatening Act secondo la linguista C. Kerbrat Orecchioni) e comprendono aspetti verbali e non-verbali

  • quelle “produttive” che consistono nel mettere in atto pratiche benefiche per l’altro (promesse, complimenti…).

Le funzioni linguistiche quali richiesta, consiglio, ordine, rimprovero, costituiscono una potenziale minaccia per la “faccia” dell’interlocutore. Oltre ad alcune modalità comportamentali (sorriso, sguardo, tono di voce), esistono tante modalità verbali per attenuare la “minaccia” (Face Threatening Act secondo la linguista C. Kerbrat Orecchioni) :

  • formulazione indiretta o impersonale: “è vietato fumare qua” anziché “non devi fumare”
  • uso della litote “non è molto cordiale…”, “è un po’ salato”
  • formulazione negativa “non ti va di…?”
  • uso del condizionale “avresti una sigaretta?”
  • uso dell’imperfetto: “volevo sapere se…”
  • aggiunta di premesse “mi chiedevo se potevi…” anziché “puoi…?”

La comunicazione elettronica, invece, richiede più tempo ed è priva di elementi extra-linguistici come la postura, il tono di voce e la mimica facciale. Tale mancanza viene compensata attraverso l'uso di smiles, ovvero simboli grafici che simulano la mimica facciale e consentono, quindi, di dare una connotazione affettiva, che, ad esempio, può essere scherzosa o arrabbiata, ad un messaggio scritto.

Cos’ è la teoria della “faccia” e come rientra nella descrizione della comunicazione?


Goffman ha introdotto il concetto di “faccia”, ripreso da diversi autori in seguito, che definisce ciò che ogni individuo mette in gioco nella comunicazione e nella relazione con gli altri, ossia l’immagine di sé. Questo concetto serve a descrivere la dimensione psico-sociale delle interazioni tra gli individui.
La faccia è quindi il valore sociale positivo che ognuno rivendica attraverso il suo comportamento, la linea che adotta ogni volta che si trova in una situazione di comunicazione. Goffman ha analizzato il modo in cui ognuno cerca di far accettare e preservare l’immagine di sé che si è costruito per gli altri, e che mette in gioco in ogni relazione o interazione. Questi processi atti a “preservare la propria faccia” sono descritti da Goffman come azioni “difensive”.

Giorgio De Chirico
Nello stesso modo, le relazioni implicano generalmente di preservare la “faccia” dell’interlocutore, con azioni “protettive”. Ogni comunicazione mette in bilico le “facce” di tutti i partecipanti e comporta quindi questo gioco costante di equilibrio-disequilibrio, nominato da Goffman “face-work”.
Edward Hopper , Chop Suey

« Agendo assieme, la regola che impone rispetto per se stessi e quella che richiede considerazione per gli altri fanno sì che il soggetto tenda a comportarsi in modo da salvare sia la propria faccia che quella degli altri partecipanti. »
(Erving Goffman, Modelli di interazione, 1969, traduzione italiana Il Mulino, 1971, p. 13)

La comunicazione secondo Goffman

Molti teorici si sono interessati alla comunicazione come oggetto di studio. Lo schema di Shannon e Weaver analizza la comunicazione dal punto di vista della trasmissione delle informazioni: sono i primi teorici delle scienze della comunicazione.



Altri studi riguardano gli aspetti linguistici della comunicazione, come quelli di Austin sugli atti linguistici, o lo schema della comunicazione di Jakobson.




Un approccio che riguarda invece l’aspetto psico-sociale della comunicazione è quello di Erving Goffman.
In questo contesto vorremmo interrogarci sull’attualità delle posizioni di Goffman in una società in cui gli schemi della comunicazione si sono evoluti e modificati sostanzialmente, in particolare con l’intensificazione della comunicazione virtuale.

Chi è Erving Goffman?

Erving Goffman (1922 – 1982) è un sociologo americano collegato alla scuola di Chicago. Si è interessato all’interazione ed in particolare agli elementi del contesto (che costituiscono la cosiddetta “situazione di comunicazione”) che intervengono nell’interazione. Ha usato la metafora del teatro per descrivere il modo in cui le persone si comportano nell’interazione come attori nelle rappresentazioni teatrali.

Cosa s’intende per interazione?
Per interazione s’intende l’influenza che due interlocutori hanno l’uno sull’altro quando sono faccia a faccia. Questa interazione in co-presenza è fatta di sguardi, posture, comportamenti e scambi verbali.

...e per situazione di comunicazione?
Una situazione di comunicazione si presenta ogni volta che due o più persone sono presenti contemporaneamente in un determinato luogo. Alcune « regole socio-culturali » determinano i comportamenti di queste persone in situazione di comunicazione.